Dal mese di giugno 2013 al mese di giugno 2023 sono 10 anni, poco più di 500 editoriali ogni venerdì su MilanNews. Molti più della metà scritti in un clima di incertezza, descrittivi di un ridimensionamento tecnico, di ambizioni scomparse: articoli percorsi da inquietudine e malinconia. Quello di oggi è tra i più sofferti, diviso tra un sentimento di affetto, stima, ammirazione e riconoscenza per Paolo Maldini (e Riky Massara) e un crudo, ineluttabile realismo con una prospettiva ampia, oltre gli stessi confini del Milan.
Non ho elementi (né voglia) per discettare sui dettagli che sbucano come scorpioni, sulla spaccatura tra media e tifosi schierati un po' di qua e un po' di là, come se di schieramenti si trattasse... Dicono e scrivono che il rapporto si fosse incrinato anche con Pioli, che girasse il nome di Pirlo, che sul mercato i buoni li ha presi uno e gli scarsi quell'altro, che il mercato del 2022 e un 5° posto trasformato in 4° dalla penalizzazione della Juventus siano stati decisivi. Le trappole sembra fossero disseminate ovunque, come su un campo minato, eppure fino a domenica 4 sembravano regnare pace e armonia almeno a Milanello. Non lo so, ma di sicuro alle due ultime argomentazioni non credo: un'azienda traccia bilanci pluriennali e quello dal 2020 ad oggi è straordinariamente positivo. Dal punto di vista dei numeri nudi e crudi, persino la campagna del 2022 non è stata fallimentare, perché la sola lievitazione del cartellino di Thiaw sistema i conti degli altri che poco o nulla hanno reso. E si sa bene che quando si va a caccia di giovani, i risultati dipendono da mille fattori.
La verità è che le distanze ideologiche e strategiche erano diventate incolmabili. Da una parte Paolo chiedeva da tempo maggiore autonomia e possibilità di scelta più ampie, sul mercato e non solo; dall'altra la proprietà tira dritto per la sua strada. Si è arrivati a un bivio, a una svolta verso direzioni profondamente diverse. Maldini non ne ha mai fatto mistero nemmeno pubblicamente, basti ricordare le interviste dopo lo scudetto e dopo le semifinali di Champions. Pungoli che non sono stati graditi non solo per le esternazioni di per sé stesse, ma per il conseguente smascheramento di filosofie lontane. Sono stati amari i tempi e i modi, per tutti noi e voi che abbiamo vissuto, viviamo, un calcio romantico, fatto di valori e passione, attaccamento e storia. Poche righe senza stretta di mano, arrivederci e grazie. Questo certamente ha ferito, ma al di là della forma fredda e scarna, resta la sostanza di un connubio che non aveva più vita, non aveva più respiro. Si riparte da capo, con una base diversa e più solida rispetto a 3-4 anni fa, per la squadra e per il lavoro che intorno le viene confezionato. Si riparte da capo con la speranza che venga imboccata la diritta via: rinforzi tecnici e industriali, secondo programma.
Si scatenano in queste ore, a seconda delle prospettive, gli hashtag #out: chi Cardinale, chi Pioli, chi lo stesso Maldini. Di fronte all'estremismo, mi domando sempre quali potrebbero essere le alternative. Vale anche per queste reazioni non solo emotive, che sgorgano da animi feriti e profondi. Se parliamo di proprietà, il panorama europeo - ecco cosa intendevo con "oltre gli stessi confini del Milan" - è ormai chiaro e definito da molto tempo: i club sono in mano a multinazionali, stranieri, investitori, fondi, arabi, petrolieri. Ognuno con la sua cultura, i suoi sistemi, il suo obiettivo che è naturalmente il business. L'affezione e la storia stanno diventando un patrimonio intimo, un po' come il destino di San Siro: è la nostra vita, è stata la nostra vita, ma un giorno non ci sarà più. Un giorno vicino o lontano. Le menzogne sul suo significato, sul suo valore artistico o architettonico, sono puramente politiche: San Siro è una struttura che non può essere rinnovabile, esattamente come i corsi "familiari" delle società calcistiche italiane. Berlusconi, Sensi, Moratti, Mantovani, i Della Valle... non hanno più cittadinanza e dove un presidente ci mette la faccia, come Lotito e DeLaurentiis per esempio, il dialogo con i tifosi è conflittuale.
In questi anni dalla serie A in giù sono cambiati più proprietari che giocatori, questo è un altro dato di fatto. Capisco i giocatori rossoneri, come molti noi e di voi, spiazzati e amareggiati. Il professionista ha il dovere di andare avanti rispettando i suoi obblighi. Bisogna prendere atto dei cambiamenti, bruschi e traumatici, quali essi siano. Da tifoso e poi da cronista, ho vissuto Buticchi che offrì Rivera al Torino, Colombo che sprofondò in serie B solo 2 anni dopo il decimo scudetto, Giussy Farina che in B ci tornò invece sul campo, Berlusconi che arrivò e liquidò lo stesso Rivera. Ho vissuto anche il tramonto apatico dell'epopea Berlusconi, incredulo sui tempi e sui modi. Quello che resta, come sempre, è il Milan.Dopo il ribaltone di lunedì 5 giugno, le responsabilità per i proprietari e del management sono aumentate esponenzialmente. A tutti i livelli. Vedremo dove porterà il loro impegno. Serviranno compattezza e unità di intenti che in questi giorni sembrano sgretolati. Quello che resta, come sempre, è il Milan: di questo continueremo a parlare. Resto cristiano convinto e fervente nonostante le molte torbide storie della Chiesa.
Ciao e grazie Paolo. Il mio antico legame con tuo padre e l'ammirazione per la vostra grande famiglia mi hanno fatto sbilanciare molto in questi ultimi anni, sul tuo ruolo e sulla tua passione: non rinnego nulla. Grazie anche a Riky Massara, preparato, educato e gentile. Buon lavoro e buona fortuna, a voi e a chi rimane. Quello che resta, come sempre, è il Milan.
di Luca Serafini.